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IL
CANTONETTO Rassegna
letteraria bimestrale Lugano, settembre 1994 C'era una volta il Natale. Ecco un libretto (una novantina di pagine di linda impressione)
che tien fede alla promessa del titolo: in esso ritorna il Natale nel
senso che tutti immaginammo nella nostra fanciullezza, neve e bontà: e
il bell'acrilico che sta in copertina di Giacomo Antonini, Nonni felici
in un paesaggio di iemale candore, ne è la congrua rappresentazione. Ma
attenzione: sbaglierebbe chi ci cercasse soltanto un'evocazione di tipo
letterario-sentimentale; ché c'è pure qui un "messaggio"
(usiamola una volta anche noi, questa solenne e abusata parola) di
carattere morale, se non addirittura moralistico, che fa pensare e
induce ogni lettore a una personale correzione, senza prediche ma con la
lezione della fiaba. Siamo qui di fronte a una letteratura dei "buoni
sentimenti"; i quali (contrariamente a quello che diceva Gide) non
necessariamente debbono portare a una "cattiva letteratura" Il
Veronese è un giovane nativo di Treviso e ora vivente nel Ticino, dopo
un'infanzia e adolescenza trascorse in contrade nordiche, perfino in
Norvegia. In tre paginette di prefazione, Flavio Medici parla di
"racconti piani e limpidi", che possiedono "la freschezza
delle fiabe". Il critico osserva che dalla fiaba questi racconti
hanno tre caratteristiche: "lo spiccato gusto per l'azione";
la forte tendenza a stilizzare", per cui i personaggi sono talvolta
"simboli di un modo d'essere, un vizio, una fissazione o una
virtù"; e il gusto, pur non continuo, del
"soprannaturale". La lettura è agevole, l'interesse per la
trama sempre buono, talvolta con qualche (non sappiamo se voluta)
ingenuità, almeno nel dialogo, che pur è costantemente vivace
(intendiamo dire l'ingenuità d'un linguaggio che non è sempre
infantile, anche se messo in bocca a bambini). Altro pregio: la fine interpretazione psicologica del mondo
fanciullo, che ha le sue pene e i suoi travagli, di cui il mondo degli
adulti raramente si accorge. Nel primo racconto, La grande fiera del giocattolo, c'è
una trovata felice: lo specchio che è metafora del dono che l'uomo (nel
caso il papà) deve fare di sé stesso, del proprio tempo, del proprio
sorriso, della propria parola, prima ancora, e più , del dono esteriore
del giocattolo. Vediamo profilarsi dunque il fondo fiabesco-morale
nell'invenzione del Veronese; un fondo ch'è poi variamente presente
negli altri sei racconti, dove troviamo pur diversi, ma per certi
aspetti simili, elementi di incantamento (così Le ciabatte, Il
gatto, Il sorriso). C'è da chiedersi se queste "fiabe" si rivolgono
veramente, soltanto, ai bambini. Il discorso si rivolge forse
soprattutto agli adulti, a quelli specialmente che son chiamati al
difficile mestiere del genitore: un invito a vincere la propria
incomunicabilità, dalla quale è impossibile uscire attraverso altre
vie, che poi non hanno nessun valore, perché non costano nulla; e
l'amore invece suppone sempre il (sia pur gioioso) sacrificio. L'adulto
è esortato a farsi fanciullo, a scoprire la bellezza di quel mondo,
meraviglioso anche se apparentemente piccolo, che è proprio del
fanciullo. Il Veronese è un ottimista: l'incontro col Natale vuol
rappresentare un incontro di bontà. Ma è pure realista: e scorge anche
nel fanciullo l'egoismo, a volte un fondo di umor nero che lo può
rendere anche cattivo, o a ogni modo asociale, chiuso in propri
risentimenti: e in questo l'abuso della TV può essere un grave
periglio. Una tale realtà è espressa bene nel racconto I pupazzi di
neve, che è uno dei più, per dir così, articolati. È da
segnalare anche il racconto Il maestro, che è la pittura
d'un autentico piccolo dramma della psicologia infantile. Qui c'entra
anche il Socrate del nostro Parco Ciani; veda il lettore. A ogni modo
piace riferire, in chiusura, il dialoghetto del maestro col piccolo
Mario:"-A Natale vien sempre un grande Maestro per aiutarti - Chi,
Socrate? - Ma noo! Gesù Bambino!"; cioè "il grande Maestro
che non aveva insegnato a leggere o scrivere, ma ad amare la vita e il
prossimo". Simpatici i disegni di Claudia. |
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